06/10/11

This must be the place: quando si dice il rock...


Il nuovo film di Paolo Sorrentino, This Must Be the Place, è bellissimo, è un piccolo capolavoro. E' un film americano, nel vero senso della parola, perché dentro c'è tutto: c'è la storia, gli attori, il viaggio, il superamento dei limiti, la sorpresa e c'è soprattutto la musica. Perché la musica è sempre fondamentale. La storia è quella di Cheyenne (Sean Penn), ex rockstar depressa, miliardaria e piena di sensi di colpa, che nel viaggio, nella ricerca delle proprie origini e nella riscoperta del padre, troverà la sua redenzione. Dalla musica nasce la fortuna e la disperazione di Cheyenne, con la musica inizierà la sua rinascita. In mezzo ci sono una moglie amorevole e innamorata (Frances Mc Dormand) che lo tratta come un figlio rimasto bambino, un'amica sedicenne che deve affrontare le sue insicurezze e le sue fragilità, un criminale nazista da trovare in capo al mondo, un'umanità varia e quotidiana che non va in televisione e proprio per questo è autentica. E' l'umanità rassegnata di Rachel, che deve lavorare in un diner della provincia più desolata, per tirare su da sola un figlio avuto da un soldato scomparso, è quella disperata della madre di Mary che non trova una spiegazione alla fuga senza motivo del figlio Tony, è quella piena di sogni e speranze di Desmond, che vuole solo stare con Mary e cambiare vita, è quella ossessionata di Mordecai Midler, da una vita a caccia di nazisti. Ma è un'umanità vera, ognuno a modo suo è una tessera unica nel grande puzzle della vita. E nel film di Sorrentino c’è la vita.
Quando lo chiamano perché suo padre sta morendo, Cheyenne parte per New York senza quasi sapere perché lo stia facendo, ma sarà proprio questo viaggio, l'incontro con la morte, la solitudine, la disperazione, la crudeltà, e con l’umiliazione, a restituirlo alla vita.
E poi c’è Sean Penn, il più grande attore degli ultimi trent’anni. Ogni volta che lo vedi in un film pensi che si sia superato, che abbia raggiunto il limite massimo di bravura consentita ad un essere umano, ma ogni volta poi lui ti sorprende, ti stupisce, si supera. Era successo con Dead man walking dove interpretava la feccia dell’umanità, il più deprecabile degli esseri umani , artefice del crimine più efferato, più disgustoso, più vigliacco. Eppure alla fine quasi ti faceva pena e non volevi che venisse condannato a morte perché nessuno – nemmeno la feccia della feccia dell’umantà – merita l’iniezione letale. Era successo con Io sono Sam, dove interpetava un padre ritardato dotato di infinita tenerezza a cui volevano togliere la figlia, è successo con Mystic river, in cui invece era dilaniato dall'uccisione brutale della figlia, ed è successo anche con Milk , dove diventava il celebre attivista gay vissuto e assassinato nella California degli anni '70. Succederà anche adesso, nel prossimo futuro: perché Sean Penn in This must be the place è immenso, riesce a recitare anche solo con lo sguardo, con quegli occhi che più azzurri non potrebbero essere e che hanno lo straordinario dono di parlare. Il suo personaggio ha il fascino glamour e un po' retrò di Robert Smith ma anche quello ambiguo, devastante, dannato e malinconico di Marilyn Manson. I suoi vestiti parlano per lui e di lui, e ci riconducono ciclicamente all'universo che pure Cheyenne ha abbandonato e che non vuole riconoscere più. Ma fanno parte (quell'universo e quegli abiti) del suo DNA e da li non si può prescindere. Nel personaggio di Cheyenne c’è la lentezza di Sam, l’ostinazione di Milk, il dolore infinito di Jimmy Markum. Ma come fa? Come può essere così calato in ogni singolo personaggio e mettere, ogni volta, un piccolo frammento, anche infinitesimale, del carattere precedente. Come fa? Lo fa da grande artista, qual è, ovvero raccontandoti attraverso un milione di dettagli, sguardi, movimenti, gesti minuscoli, tutte le innumerevoli sfaccettature che un essere umano ha, nel bene e nel male. E lo fa spingendoti a scovare dentro di te quel frammento microscopico che anche tu potresti possedere. Così facendo ti fa entrare nel corpo e nell'anima di quel personaggio. Tanto che alla fine anche tu ti ci riconosci un po' e quando esci dalla sala ti senti anche tu un po' Sam, un po' Jimmy, un po' Milk, un po' Cheyenne...

This must be the place: quando si dice il rock...


Il nuovo film di Paolo Sorrentino, This Must Be the Place, è bellissimo, è un piccolo capolavoro. E' un film americano, nel vero senso della parola, perché dentro c'è tutto: c'è la storia, gli attori, il viaggio, il superamento dei limiti, la sorpresa e c'è soprattutto la musica. Perché la musica è sempre fondamentale. La storia è quella di Cheyenne (Sean Penn), ex rockstar depressa, miliardaria e piena di sensi di colpa, che nel viaggio, nella ricerca delle proprie origini e nella riscoperta del padre, troverà la sua redenzione. Dalla musica nasce la fortuna e la disperazione di Cheyenne, con la musica inizierà la sua rinascita. In mezzo ci sono una moglie amorevole e innamorata (Frances Mc Dormand) che lo tratta come un figlio rimasto bambino, un'amica sedicenne che deve affrontare le sue insicurezze e le sue fragilità, un criminale nazista da trovare in capo al mondo, un'umanità varia e quotidiana che non va in televisione e proprio per questo è autentica. E' l'umanità rassegnata di Rachel, che deve lavorare in un diner della provincia più desolata, per tirare su da sola un figlio avuto da un soldato scomparso, è quella disperata della madre di Mary che non trova una spiegazione alla fuga senza motivo del figlio Tony, è quella piena di sogni e speranze di Desmond, che vuole solo stare con Mary e cambiare vita, è quella ossessionata di Mordecai Midler, da una vita a caccia di nazisti. Ma è un'umanità vera, ognuno a modo suo è una tessera unica nel grande puzzle della vita. E nel film di Sorrentino c’è la vita.
Quando lo chiamano perché suo padre sta morendo, Cheyenne parte per New York senza quasi sapere perché lo stia facendo, ma sarà proprio questo viaggio, l'incontro con la morte, la solitudine, la disperazione, la crudeltà, e con l’umiliazione, a restituirlo alla vita.
E poi c’è Sean Penn, il più grande attore degli ultimi trent’anni. Ogni volta che lo vedi in un film pensi che si sia superato, che abbia raggiunto il limite massimo di bravura consentita ad un essere umano, ma ogni volta poi lui ti sorprende, ti stupisce, si supera. Era successo con Dead man walking dove interpretava la feccia dell’umanità, il più deprecabile degli esseri umani , artefice del crimine più efferato, più disgustoso, più vigliacco. Eppure alla fine quasi ti faceva pena e non volevi che venisse condannato a morte perché nessuno – nemmeno la feccia della feccia dell’umantà – merita l’iniezione letale. Era successo con Io sono Sam, dove interpetava un padre ritardato dotato di infinita tenerezza a cui volevano togliere la figlia, è successo con Mystic river, in cui invece era dilaniato dall'uccisione brutale della figlia, ed è successo anche con Milk , dove diventava il celebre attivista gay vissuto e assassinato nella California degli anni '70. Succederà anche adesso, nel prossimo futuro: perché Sean Penn in This must be the place è immenso, riesce a recitare anche solo con lo sguardo, con quegli occhi che più azzurri non potrebbero essere e che hanno lo straordinario dono di parlare. Il suo personaggio ha il fascino glamour e un po' retrò di Robert Smith ma anche quello ambiguo, devastante, dannato e malinconico di Marilyn Manson. I suoi vestiti parlano per lui e di lui, e ci riconducono ciclicamente all'universo che pure Cheyenne ha abbandonato e che non vuole riconoscere più. Ma fanno parte (quell'universo e quegli abiti) del suo DNA e da li non si può prescindere. Nel personaggio di Cheyenne c’è la lentezza di Sam, l’ostinazione di Milk, il dolore infinito di Jimmy Markum. Ma come fa? Come può essere così calato in ogni singolo personaggio e mettere, ogni volta, un piccolo frammento, anche infinitesimale, del carattere precedente. Come fa? Lo fa da grande artista, qual è, ovvero raccontandoti attraverso un milione di dettagli, sguardi, movimenti, gesti minuscoli, tutte le innumerevoli sfaccettature che un essere umano ha, nel bene e nel male. E lo fa spingendoti a scovare dentro di te quel frammento microscopico che anche tu potresti possedere. Così facendo ti fa entrare nel corpo e nell'anima di quel personaggio. Tanto che alla fine anche tu ti ci riconosci un po' e quando esci dalla sala ti senti anche tu un po' Sam, un po' Jimmy, un po' Milk, un po' Cheyenne...

12/08/11

VASCO ROSSI: UN POVERACCIO OSSESSIONATO


In questi giorni di agosto, Vasco Rossi fa polemica da solo. Ci eravamo ormai dimenticati della sua imbarazzante esternazione via facebook con la quale lanciava la a sfida a Ligabue che (secondo Vasco) "ne deve mangiare ancora di polenta prima di arrivare ad essere paragonato a lui", era appena stato dimesso - Vasco - dalla clinica dove è stato ricoverato per un po' - ed eccolo che riparte all'attacco di Ligabue, e non solo. Prima definisce Luciano "un bicchiere di talento in un mare di presunzione" (già detto da Mick Jagger a Madonna), poi rincara la dose dicendo che è arrogante e presuntuoso, in mezzo ci ficca (al Tg1 dell'amico Mollica) la ricetta del suo cocktail di psicofarmaci con cui si tiene su da tempo per combattere la depressione, e un attacco ai giornalisti (che non guasta mai) "che non capiscono nulla e fraintendono tutto" (anche questo già detto, e da chi poi!). Insomma, Vasco evidentemente si annoia ed è confuso. Fa bene Ligabue a non rispondere (cosa che fa letteralmente impazzire Vasco): "Rispondere agli insulti è solo bassa promozione", canta Luciano in una delle canzoni del suo ultimo album. Appunto.Credo che Vasco Rossi ormai sia solo un miliardario annoiato dalla vita col cervello fuso dalle mille droghe che si è preso in vita sua. Ha fatto delle gran belle canzoni e dei gran bei concerti ma personalmente non l'ho mai ritenuto un mito. E queste sue esternazioni dimostrano che non solo si sente un mito e un padreterno, ma anche che sta andando incontro a una brutta vecchiaia (sempre che ci arrivi - e non sto certo auguradogli la morte sia ben chiaro), fatta di ossessioni e di deliri di onnipotenza. Oltretutto dice tutto e il contrario di tutto, non legge (né ascolta) quello che dicono gli altri, gioca a fare la vittima (di chi poi?), l'incompreso, il genio maledetto. Francamente se ne potrebe fare a meno delle sue esternazioni. Magari se mettesse tanta energia nello scrivere qualche canzone che possa definirsi tale, saremmo tutti più contenti. E poi - una volta per tutte - perché non la fa finita di attaccare sempre Ligabue che, da gran signore qual è, neanche gli risponde? Ligabue sembra essere la vera ossessione di Vasco. Ma perché non si placa? Perché non pensa alla sua musica e alla sua vita?

15/04/11

HABEMUS NANNI



Per due anni ha fatto il direttore del festival del cinema di Torino, poi si è dedicato al suo nuovo film e a distanza di 5 anni da "Il Caimano" è tornato in sala: Nanni, Moretti ovviamente. Un essere di caratura decisamente superiore rispetto non solo alla media ma anche all'eccellenza cinematografica italiana e non. O lo ami incondizionatamente, o lo odi profondamente: come tutte le grandi personalità e i grandissimi artisti, Nanni Moretti non ammette mezze misure. E io - lo dico con grande convinzione - appartengo alla prima categoria, ovvero a coloro che lo amano incondizionatamente. Ma questa volta - nonostante quello che diranno i suoi detrattori - Nanni ha fatto un film di grande raffinatezza, stile, poesia, esattamente come era stato per "La stanza del figlio" (2001). Lì si raccontava del dolore più grande che esista, la morte di un figlio, qui si mostra la debolezza umana, amplificata a dismisura fino a diventare assolutamente insostenibile quando tocca un uomo che deve diventare la guida di un miliardo di persone, ovvero il rappresentante di Dio in Terra, il Papa.

Moretti non è credente, così come non lo è il suo personaggio, uno psicanalista affermato, "il più bravo di tutti" come gli riconoscono e gli ricordano coloro che lo circondano, e "Habemus Papam" è un grande film laico che guarda con tenerezza, rispetto e comprensione alle difficoltà e alle debolezze umane. Il cardinale che non ce la fa ad accettare il ruolo di Sommo Pontefice è un uomo comune (Michel Piccoli), con tutto ciò che ne consegue, e non il rappresentate di Dio in Terra. E' un uomo che quando si confronta con la realtà esterna, con la vita quotidiana, scopre un mondo di cui non ricorda più nulla. Si finge attore e la metafora calza perfettamente: recitare una parte di fronte a gente che non conosci mettendosi una maschera dietro cui puoi nascondere tutto, perfino la tua debolezza e la tua sensazione di inadeguatezza.

Moretti è intelligente, colto, raffinato, ma anche ironico, divertente, profondamente romano. E il suo nuovo film è esattamente così: intelligente (affronta un tema tanto comune quanto difficile da esplorare come il senso di inadeguatezza che provano moltissime persone), colto (basterebbe la citazione di Cechov nella scena del teatro), raffinato (le riprese, i costumi, il linguaggio utilizzato anche in strada dove non si sente mai una sola parolaccia), ironico (il personaggio dello psicanalista è un gioiello di ironia ma anche quello di molti cardinali, così come il torneo di pallavolo organizzato per rendere meno pesante l'attesa), divertente (alcune battute e alcune espressioni del Prof. Brizzi, ovvero Moretti, sono esilaranti), profondamente romano (ci sono una serie di citazioni e di immagini immediatamente riconoscibili a chi è nato e vive a Roma che costituiscono quasi un percorso a sé all'interno del film).

Il suo film è un'ode alla comprensione, in senso lato: "C'è bisogno di un grande cambiamento, c'è bisogno di un papa - dice il "suo" papa - che sappia comprendere e dialogare con tutti", così come c'è bisogno di comprendere le debolezze umane, di tutti gli uomini senza alcuna distinzione. E se perfino Nostro Signore può sbagliare scegliendo il cardinale meno adatto a diventare papa, allora questo sì che è un grande cambiamento.

Nanni Moretti, insomma, è tornato al cinema, insieme a Paolo Sorrentino (e al suo "This must be the place") concorrerà a Cannes per la Palma d'Oro e non c'è dubbio che il suo "Habemus Papam" ci renderà orgogliosi - una volta tanto - di essere italiani. Perché Nanni Moretti, proprio come il Prof. Brizzi, è "il più bravo di tutti".

01/04/11

IL PAESE ALLO SFASCIO

IL PAESE ALLO SFASCIO
by Patrizia De Rossi on Friday, April 1, 2011 at 11:29am

"Come si sono ridotti così? Prima un po' alla volta, poi tutto insieme. Il volto, i volti della classe dirigente riflettono ormai la deriva di un'agonia politica. Il ghigno stupefacente di Ignazio La Russa, l'isterico lancio della tessera del guardasigilli Alfano, lo sguardo esterrefatto di Fini. I deputati leghisti che ringhiano 'handicappata di merda' alla collega disabile Ileana Argentin".

Non è un racconto dell'orrore né uno di fantasy, né tantomeno la cronaca fantascentifica di un mondo irreale. E' l'inizio dell'editoriale di Curzio Maltese su Repubblica di oggi (1 aprile 2011). Che continua a pag. 37. Quello che abbiamo visto e sentito ieri in parlamento (e soprattutto quello che non abbiamo visto e sentito) è l'orrore di un paese allo sfascio e al degrado totale, un paese indegno, immorale, corrotto, mafioso. Un paese che non merita più la considerazione di nessuno, un paese che ha dato tantissimo al patrimonio culturale mondiale e che adesso è disgustosamente alla mercé dei nuovi barbari.

A tutta questa gentaglia auguro le peggiori sofferenze che la vita può riservare, e in questo, la vita, sa come abbondare fino ad eccedere, ma tanto per questa feccia non sarà mai troppo.

A chi ha gridato 'handicappata di merda' ad una donna che ha molta, ma molta, più dignità di tutti loro messi insieme, auguro che tutti i loro cari (ammesso che ne abbiano, ma dubito fortemente) vengano colpiti da menomazioni fisiche (che tanto quelle psichiche già ce le hanno belle sviluppate) che li rendano immobili ma soprattutto muti (cosicché non sentiamo più le loro cazzate).

Noi che non siamo come loro, e che siamo tantissimi, meritiamo il nostro paese, un paese normale, civile e bello. Utopia? Questa melma disgustosa che occupa il parlamento ci ha tolto l'orgoglio di essere italiani, ma non ci toglierà mai la nostra dignità.

21/03/11

Un paese al contrario

Un paese che ha nel sole, nel mare, nel vento le sue risorse ambientali
Un paese che ha il 70 per cento dell’intero patrimonio artistico mondiale sul suo territorio
Un paese che ha l’arte la cultura la poesia la letteratura nel suo dna
Un paese che spazia dal Mar Mediterraneo alle Alpi passando attraverso gli Appennini i laghi le colline le langhe le pianure le coste le spiagge le isole le città d’arte
Un paese che ha fondato parte della sua musicalità sull’opera lirica e sul balletto
Un paese che affonda nel diritto romano le radici del suo sistema giudiziario
Un paese che ha la Costituzione più imitata e ripresa dai paesi occidentali
Un paese che ha Roma come capitale
Un paese che ha fatto dell’estro e delle creatività le sue cifre stilistiche
Un paese che aveva una scuola pubblica (soprattutto quella elementare) all’avanguardia nel mondo
Un paese che ha saputo reinventare la moda
Un paese che aveva un grande cinema
Un paese un po’ bigotto e un po’ bacchettone che si è sempre scandalizzato delle libertà sessuali tipiche dei paesi del nord Europa
Cosa fanno i governanti di questo paese alle soglie della seconda decade del terzo millennio?
Costruiscono nuove centrali nucleari per risparmiare sull’energia, affidando la difesa di questa splendida idea al Ministro dell’Ambiente
Tagliano i fondi ai Beni Culturali facendo crollare Pompei e chiudere i musei
Tagliano i fondi alla cultura perché con la cultura – come afferma orgoglioso il ministro dell’economia – non si mangia
Introducono la tassa di soggiorno per i turisti
Tolgono i soldi al Fondo per lo Spattacolo e fanno chiudere teatri ed enti lirici
Riformano la giustizia
Cambiano la Costituzione
Danno la Capitale in pasto ai Barbari che la insozzano felici, per poterla poi denigrare
Cancellano qualsiasi forma di modernizzazione
Distruggono la scuola pubblica, magnficando (finanziando e agevolando) quella privata
Cedono il mercato tessile manifatturiero ai cinesi
Aumentano il biglietto d’ingresso del cinema per contrastare la crisi dell’industria cinematografica
Accettano il libertinaggio la prostituzione minorile la pedofilia perché tanto, in fondo, ci sono sempre stati, da che mondo è mondo...

Un paese come questo non ha bisogno di giovernanti che mirano esclusivamente ai loro interessi personali, senza minimamente preoccuparsi dei loro “sudditi”.
Un paese come questo deve trovare la forza di ribellarsi, quella forza che lo fatto sopravvivere alle peggiori dittature del ventesimo secolo, il nazismo e il fascismo.
Un paese come questo deve riappropriarsi di ciò che gli stanno indebitamente togliendo
Un paese come questo deve liberarsi di questa genatglia per poter tornare a respirare.
Un paese come questo deve uscire da un’apnea che dura ormai da 17 anni

16/03/11

QUANTE COSE CHE NON SAI DI ME


QUANTE COSE CHE NON SAI DI ME
LE 7 ANIME DI LIGABUE

COLLANA SONGBOOK - 250 pp. - 16,00 euro - inserto fotografico a colori

Sette, come i giorni della settimana, come i vizi capitali, come le vite dei gatti.
Quante cose che non sai di me, frugando nei testi delle canzoni con la partecipazione dello stesso Luciano, analizza tutta la produzione artistica – film, racconti, poesie, romanzo – di un protagonista assoluto del panorama musicale e culturale italiano.

Ligabue ha
un’anima rock,
un’anima cinematografica,
un’anima letteraria,
un’anima femminile,
un’anima passionale,
un’anima romantica,
un’anima politica.

04/03/11

Lettera all'on. Biancofiore


Dopo aver assistito, quasi per caso, alla puntata di EXIT andate in onda ieri sera su La7, ho sentito il bisogno di mandare questa mail all'onorevole Michaela Biancofiore. Mi risponderà mai? Ve lo farò sapere

Gentile on. Biancofiore,
sono una cittadina italiana che paga le tasse e mi permetto di scriverLe dopo aver assistito ieri sera ad un Suo intervento nella trasmissione condotta da Ilaria D'Amico su La7. Interrompendo in maniera piuttosto veemente, becera e sgarbata, l'onorevole Melandri che provava ad esprimere un concetto (giusto o sbagliato che fosse, era il suo turno), Lei ha sottolineato - gridando - che la sinistra (sottintesa visto che si rivolgeva alla Melandri) non poteva parlare in quanto aveva avuto un "presidente di Regione che andava a transessuali con la macchina di Stato".
La Sua infinita meschinità e grettezza in tale occasione mi ha fatto rabbrividire, in primis perché non era quello l'argomento della conversazione (e comunque Piero Marrazzo si è dimesso quasi subito, lasciando campo libero ad una parte politica, risultata poi vincente, che in campagna elettorale non ha certo lesinato sottolineature su questa vicenda), ma soprattutto perché da cittadina italiana che paga le tasse, trovo molto più grave ed offensivo sapere (lo attestano gli atti di diverse procure) che ci sono illustri parlamentari (pagati da noi contribuenti) condannati in via definitiva che continuano a sedere in Parlamento, trovo molto più grave e offensivo che ci siano esponenti dell'attuale maggioranza di governo (ma potrebbero essere anche dell'opposizione, la mia indignazione non cambierebbe) indagati per reati infamanti, accusati di concussione, abusi di potere, abusi sessuali, corruzione, compravendita di voti, istigazione alla prostituzione, anche minorile, e altre nefandezze varie, trovo molto più grave ed offensivo che ci siano persone legate alla Protezione Civile che ridevano pensando a quali guadagni favolosi avrebbero realizzato in seguito al devastante terremoto in Abruzzo (6 aprile 2009), trovo molto più grave e offensivo che un capo di governo non perda occasione di insultare i suoi antagonisti politici, i suoi stessi concittadini (quelli che non la pensano come lui), di demolire le istituzioni che pure dovrebbero costituire una garanzia per tutti. Trovo molto più grave ed offensivo che in Italia la mercificazione del corpo femminile sia diventata prassi comune e che si taccia di essere "moralisti e puritani" tutti coloro che si indignano per allegre riunioni conviviali che in tutto il mondo vengono definiti festini e orge, dove oltretutto si elargiscono soldi che un onesto lavoratore non guadagna nemmeno in un anno. Trovo molto più grave ed offensivo che molti esponenti politici (sempre di più, ahimé, di qualsiasi schieramento politico) anziché accettare un civile confronto, si azzannino in televisione costringendo chi vorrebbe seguire un dibattito e un discorso anche politico a spegnere la televisione. Trovo molto più grave ed offensivo che ci siano giornalisti (così si fanno definire) che possono distruggere la reputazione, la dignità, la vita di una persona (anche un collega) facendo e pubblicando rivelazioni e documenti falsi senza che poi - una volta scoperta la loro truffa - si dimettano e vengano radiati dall'Albo dei Giornalisti. Trovo molto più grave e offensivo il modo in cui i cittadini italiani vengono considerati (e derisi) al'estero, ovunque.
La lista delle cose che trovo molto più gravi ed offensive, da cittadina italiana, sarebbe ancora molto lunga ma sono certa che Lei abbia afferrato il mio ragionamento.
Continuerò a pagare le tasse, come ho sempre fatto, e a difendere il diritto di tutti (anche e soprattutto di chi non la pensa come me) di esprimere la propria opinione. Anche se ogni giorno diventa più difficile perché in Italia si è instaurato (voi soprattutto come governanti ne siete responsabili) un clima da guerra civile per cui chi non la pensa come te, non è un antagonista da battere ma un nemico da eliminare con qualsiasi mezzo.
In un paese civile questo è decisamente inaccettabile. Ma l'Italia, da molti anni, non è più decisamente un paese civile. Purtroppo.
RingraziandoLa fin da ora per l'attenzione che mi vorrà concedere, La invito a riflettere - se lo riterrà opportuno - su quanto Lei ha detto e io ho scritto.
Non credo che risponderà a questa mia mail ma se dovesse farlo, gliene sarei davvero grata.

Patrizia De Rossi

p.s. A proposito di moralisti, puritani, bigotti eccetera. quando Marrazzo andava a trans la maggioranza compatta ha gridato allo scandalo, i bempensanti invocavano addirittura (metaforicamente) la pubblica gogna, ora che invece si tratta di orge con minorenni e maggiorenni, in numero variabile ma sempre più di due, è tutto normale?