24/11/14

TRUE DETECTIVE: IL MISTERO, LA FOLLIA E UN PREMIO OSCAR

Ieri finalmente ho finito di vedere tutta la serie “True detective” che avevo registrato proprio per godermela tutta di seguito, una sera dopo l’altra, senza dover aspettare una settimana. E’ una serie bellissima (del resto non si vincono 5 Premi Emmy per caso) ed estremamente inquietante, ambientata in quella Louisiana paludosa e misteriosa che ti fa venire i brividi solo a vederla in tv. Figurati a viverci. Io ci sono passata tanti anni fa, metà Anni 80, in macchina, in vacanza, e la sensazione che fosse una terra strana e ambigua ce l'ho avuta, eccome! Una terra dove l’anima colorata e gioiosa di New Orleans è sempre velata da un’ombra cupa che strizza l’occhio ai riti voodoo, alla magia nera, alla superstizione;  dove Bourbon Street è piena di turisti come via del Corso il 22 dicembre, ma appena ti allontani un po’ da quel chiasso creato ad arte, ti sembra di entrare in un vortice nero da cui non c’è ritorno. Sembra che il fiume Mississippi, imperioso e immenso, ti risucchi e ti divori. Le persone spariscono, ma nessuno se ne preoccupa. Tutti ti promettono grande fortuna, tutti vogliono leggerti la mano, tutti vogliono offrirti qualcosa. E siamo a New Orleans. Appena esci da quel gran carnevale ti ritrovi nelle paludi, ancora più misteriose, che caratterizzano tutto lo Stato e vedendo quei cimiteri con le tombe che sovrastano la terra, anziché essere interrate, i brividi sono ancora più gelidi lungo la tua schiena. Nel frattempo hai incontrato chiesette, tende, garages, capannoni, ognuno con un cartello che ti dice Jesus loves you, The Lord is the answer, There is only Jesus, e via così. E tu che vieni dal centro della Cristianità non capisci come possano esserci tante congregazioni diverse per un unico Dio. Perfino le stazioni radio e quelle televisive hanno i loro predicatori che predicano tutto il giorno, gridano che il diavolo è tra di noi, il peccato sempre in agguato e che l’unica via di salvezza è il pentimento, perché Jesus loves us.. Allora cominci a capire perché ci sono anche tante sette sataniche, tanti riti voodoo, tanta cupezza, tanto mistero. Sembra quasi una sfida: l’eterno conflitto, tra bene e male, Eros e Tanatos, amore e morte che solo in queste paludi si intersecano e si avviluppano l’una con l’altra. Chi avrà la meglio, il bene o il male, l’amore o la morte, Dio o Satana? Ecco “True detective” è riuscito a rendere esattamente tutto questo attraverso una storia fatta di continui cambi di tempo: presente e passato si alternano continuamente e più la vicenda va avanti, più diventa inquietante. Più è misteriosa, più – paradossalmente – ti chiarisce le idee su tante cose e ti fa conoscere meglio quel paese. E più capisci, più non riesci più a staccare gli occhi dallo schermo e il sedere dal divano, e vorresti che non finisse più, anche perché Woody Harrelson e Matthew McConaughey sono straordinari nei loro ruoli.

Il monologo finale  è un capolavoro di recitazione da parte di McConaughey, che lo eleva ai livelli di Sean Penn (a mio modestissimo parere il miglior attore in circolazione oggi), un eccellente esempio di come si scrive una sceneggiatura (opera di Nic Pizzolatto), una scena struggente che ti fa luccicare gli occhi ma anche capire che ci sarà un seguito. E’ un pezzo di grandissimo cinema (anche se stiamo parlando di una serie televisiva) che andrebbe fatto vedere e studiare a tutti quelli che in Italia vogliono “fare cinema”, a tutti quelli che si riempiono la bocca dicendo “io lavoro nel cinema”, “io sono un attore”, “io scrivo per il cinema”. Ecco, cominciate a vedere, rivedere, rivedere, e poi rivedere ancora quest’ultima scena. Anche solo questa, con Woody Harrelson che ascolta Matthew McConaughey. Poi guardatevi allo specchio e pensate a che lavoro fate.

22/11/14

IL MOMENTO PERFETTO



Il momento perfetto non esiste. E’ una costruzione della mente, una giustificazione per sfuggire alle proprie paure e per non affrontare la vita. E’ un pretesto, un’ipotesi, una soluzione, una teoria. C’è tempo, tanto. Può essere, forse. Sono immobile per bloccare il tempo. E invece il tempo non c’è più, spesso. Sempre. Il momento perfetto è una sospensione del tempo, nella tua testa. Io non parlo, non vado, non faccio. Sto in disparte, guardo, sento, attendo. E penso a come rendere perfetto il momento. Quel momento, che nessuno sa quale sia. Ma che tutti aspettano, come fosse Godot. E come Godot non arriva mai. E’ una sensazione invadente che ti percorre e ti pervade il corpo. Pensi che ce la farai, che lo troverai, e ti ostini sempre di più nella tua ricerca: nulla va bene, mai, c’è sempre un dettaglio, un particolare, un’inezia che blocca e rimanda. Ma intanto tutto gira intorno a te, sopra e sotto di te, dentro e fuori di te. Tutto e tutti, tranne che te. T’incanti di fronte al mondo, ti bei della tua precisione e della tua meticolosità ma non fai altro che acuire il tuo vuoto interiore. E’ un tarlo che ti scava il cervello, è un segnale della tua insicurezza, è una zavorra che ti tiene ancorato al terreno, è una zappa che cade pesante come un masso sui tuoi piedi, è un giogo da cui non sai liberarti. Ogni volta è diverso ed uguale al tempo stesso: ti prepari, sei pronto a cogliere l’attimo, a vedere oltre, a saltare l'ostacolo. Ma poi improvviso cala il gelo su di te, quello che ti paralizza in attesa del momento perfetto. Che però non esiste..
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21/11/14

IL TOCCO DEL FUORICLASSE



Il tocco del fuoriclasse è quello che ti fa vincere anche quando tutto sembra perso, quando sai che il tuo avversario ha giocato meglio di te e che meriterebbe di andare in finale al posto tuo. Ma tu sei un fuoriclasse, lui un ottimo giocatore e la differenza è proprio lì: sembra roba di poco conto, invece è tanta roba. Stan Wawrinka è un ottimo giocatore, è il numero 4 nel ranking mondiale ma è nato nel momento sbagliato, ovvero 3 anni dopo Roger Federer, il fuoriclasse, attuale numero 2 ma forse solo perché ha 33 anni e perché ha trovato un altro fuoriclasse come lui (Nole Djokovic). Stan Wawrinka ieri in semifinale non ha sbagliato (quasi) nulla, ha giocato benissimo, era concentrato, determinato, grintoso e tirato come deve essere chi affronta un fuoriclasse. Ci ha fatto vedere colpi magnifici, recuperi impressionanti, attacchi al limite dell'incoscienza totale, ha preso angoli inimmaginabili. Dall'altra parte della rete, il fuoriclasse appariva stanco, lento, distratto,sbagliava colpi elementari per lui, insomma la controfigura del giocatore che aveva dato lezione di tennis ad Andy Murray un paio di giorni prima. Sembrava quasi che il fuoriclasse volesse far vincere il suo grande amico e connazionale Stan, con cui la prossima settimana si giocherà la finale di Coppa Davis contro la Francia. In fin dei conti il Master per Stan è un sogno ancora da realizzare, lui, invece, lo ha già vinto svariate volte. Però poi la natura  non si può reprimere, l'essenza e l'istinto emergono prepotentemente: va sotto 5-4 al terzo con 3 match ball per l'avversario, li annulla tutti e 3, e lo trascina al tie-break. Ed è lì che capisci la differenza che c'è tra un ottimo giocatore e un fuoriclasse: sotto per tutta la partita, costretto a rincorrere malamente il suo avversario per 3 set, a 33 anni e dopo aver vinto in carriera tutto, dopo aver battuto qualsiasi record, Roger Federer non ha mai perso nemmeno per un secondo la concentrazione e la calma, piazzando nel momento decisivo il colpo del fuoriclasse.
Stasera in finale contro Djokovic – altro fuoriclasse - ci sarà lui, anche se forse lo avrebbe meritato di più Wawrinka. Ma lo sport insegna che il fuoriclasse è tale proprio perché ha doti che nemmeno gli ottimi hanno. E stasera in campo a Londra ci sarà tanta roba, tanti colpi, tanti tocchi. Da fuoriclasse, ovviamente.