11/01/15

L'OSSESSIONE DELLA MATERNITA'


Hungry hearts
Regia di Saverio Costanzo
Con Alba Rohrwacher, Adam Driver, Roberta Maxwell

Ovvero quando diventare madre diventa un incubo senza fine. È la storia di Mina, italiana che vive a New York con un incarico che è tutta la sua vita, fino a quando non incontra casualmente (nel bagno di un ristorante cinese dove rimane chiusa con lui) Jude, se ne innamora e lo sposa. Nasce il bimbo, ma quella stessa creatura, anziché portare serenità e gioia, anziché essere quell'elemento aggregante che fortifica ulteriormente una coppia e la rende più solida quasi fosse il completamento naturale della coppia stessa, diventa con il passare dei giorni ciò che divide e distrugge lentamente la storia, l'amore e la vita di Jude e Mina.
In una New York “normale” e anonima, lontana e fuori dai circuiti turistici e dalle immagini patinate a cui siamo abituati (ottima, in questo senso, la scelta di Saverio Costanzo – che NY evidentemente la conosce bene – di ambientare la storia in un appartamento su Amsterdam Avenue e non nei più affascinanti e conosciuti Greenwich Village West Side, Soho, Tribeca per citare location più “cinematografiche”), va in scena il disgregamento dell'amore di Mina e Jude e l'evoluzione della follia della giovane donna (un'eccellente Alba Rohrwacher) ad opera di un bambino altrettanto anonimo, di cui non sappiamo neanche il nome, perché non viene mai nominato né chiamato dai suoi genitori. Il piccolo diventa così una sorta di totem attorno al quale si consumano le vite dei due protagonisti.
Mina è ossessionata dal cibo, dall'inquinamento, dalle malattie, dai medici, dalll'alimentazione, dai rumori, dal mondo e dalla vita stessa. Non riesce a distaccarsi dal suo bambino e dalle sue paranoie, non ci riesce perché non le percepisce come tali e si lascia risucchiare senza mai opporre un minimo di resistenza in un vortice di follia e instabilità che inevitabilmente la travolgeranno. Il suo bambino non cresce, è denutrito, non esce mai di casa, non può vedere la luce del sole, non può respirare l'aria esterna perché tutto è pericoloso e dannoso per lui. È la vita stessa ad essere un pericolo e un danno per il piccolo. Jude prova a ribellarsi, arriva al paradosso di portare di nascosto suo figlio dal medico e a quello ancor più allucinante di nutrirlo in una chiesa.
Ma è evidente che questi sotterfugi per sfuggire alla follia della moglie e salvare in qualche modo il bambino (e se stesso) avranno vita breve e così – in un crescendo ossessionante di fobie e paranoie – la vicenda diventerà sempre più inquietante, angosciosa, tragica: Mina perde la lucidità, e l'affidamento di suo figlio, Jude perde l'amore e la fiducia di sua moglie, la mamma di Jude (Mina è sola, ha perso la sua quando aveva 2 anni e suo padre è lontano, in Italia) perde completamente la testa. Fino a che l'incubo ricorrente di Mina non si materializzerà ponendo fine allo strazio.
“Hungry hearts” è un pugno nello stomaco che fa vacillare tutte le certezze sulle gioie della maternità, una botta sui denti diretta che amplifica e ingigantisce a dismisura le ansie da depressione post-partum, è un film angoscioso e angosciante girato con immagini brevi e nette (alcune deformate per esaltare la mostruosità di un'ossessione che non ha confini né limiti), come fossero i frammenti di un quadro familiare che va in frantumi pezzo dopo pezzo, lentamente e inesorabilmente. È il disgregamento ineluttabile della storia d'amore tradizionale, dell'immagine idilliaca che si ha (e che ci hanno voluto sempre dare) del matrimonio. È un film che ti prende alla gola, ti inchioda alla sedia e ti toglie il respiro scena dopo scena. È un film che non ti lascia indifferente e ti fa uscire dal cinema con nuovi dubbi e una diversa consapevolezza sulla maternità. Un film che farà discutere, quindi, sostanzialmente, bello.