29/05/15

In onore di Pete Townshend

Mentre si rincorrono, sempre più insistentemente, le voci su una prossima uscita discografica nell’estate 2015 (che riportiamo per dovere di cronaca), Bruce si gode New York e le sue mille luci. Dopo essere salito sul palco di “A Night To Remember” (evento a scopo benefico di cui abbiamo già scritto) il 16 maggio scorso, Bruce ha di nuovo imbracciato la sua storica chitarra per rendere omaggio ad un altro grandissimo personaggio della musica rock: Pete Townshend, anima e fondatore degli Who. E’ accaduto il 28 maggio al Best Buy Theater di Times Square in occasione del MusiCares Map Fund Concert. MusiCares è l’organizzazione che da anni in America sostiene gli artisti che necessitano di cure, assistenza e ricoveri, indipendentemente dalla loro condizione economica. Quest’anno gli onori sono stati tutti per Pete Townshend (che in passato ha avuto problemi di alcolismo e di droga) e per lo storico manager della band inglese Bill Curbishley, da anni impegnati con grande sensibilità e generosità nella causa. Bruce – prima di unirsi a Roger Daltrey e allo stesso Townshend per una strepitosa versione di My Generation, ha definito il leader degli Who “Il più grande chitarrista ritmico di tutti i tempi”. Poi si è lanciato in un discorso a tratti esilarante:
“Quello degli Who è stato il mio primo concerto rock, visto alla fine degli anni ’60. Per loro era la prima tournée in America. Io avevo 16 e la faccia piena di brufoli. Tutto quello che sapevo era che in qualche modo quella musica e la potenza distruttiva di quegli strumenti perfetti mi riempivano di una gioia incredibile. Gli Who sono stati la mia prima fonte di ispirazione, soprattutto in un concerto per il ballo di fine anno  con la mia prima band, i Castiles, che facemmo nel piano interrato della St.Rose of Lima, che era una scuola cattolica: comprai una bomba fumogena e una luce stroboscopica e le portai al concerto. Alla fine della serata accesi sia la bomba che il faro stroboscopico nel seminterrato della scuola e mi arrampicai in cima al mio amplificatore tenendo in mano un vaso di fiori che avevo rubato da qualche classe del piano di sopra. Quando la suora mi ha guardato inorridita, ho alzato le  braccia al cielo e ho lanciato  il vaso sulla pista da ballo spaccandolo in mille pezzi!”.
Springsteen ha poi continuato il suo discorso facendo un’investitura totale al suo collega inglese:
“Pete, sono qui stasera per farti le mie congratulazioni, davvero meritate. E per ringraziarti non soltanto per dischi come ‘Who’s Next’ o ‘Who are you’, ma soprattutto per quello che sono io oggi”.
La serata si è conclusa con una grandissima versione di Won’t Get Fooled Again che ha visto sul palco, oltre a Roger Daltrey Pete Townshend e Bruce Springsteen, anche Billy Idol, Joan Jett, Willie Nile, e mandato in visibilio i 2.000 (fortunatissimi) spettatori presenti.
Cose che solo a New York City accadono…


Billy Idol, Roger Daltrey, Bruce Springsteen, Willie Nile, Pete Townshend

08/05/15

Oh, io c'ero!


Ai concerti in Italia ormai la (maggior parte della) gente ci va non per ascoltare musica, vedere uno spettacolo, divertirsi, emozionarsi. No. Ci va per poter dire agli amici, ma soprattutto allo sconosciuto popolo della rete, 'Oh, io c'ero!'.
Non è più importante condividere la gioia della musica. No. È fondamentale condividere l'immagine istantaneamente. Una miriade di schermi di telefoni e tablet rivolti verso il palco per immortalare e ri-trasmettere immediatamente al mondo quello che tu credi di vedere. Tu non guardi più il palco, tu guardi lo schermo del cellulare per poter dimostrare a tutti che stavi veramente lì. Peccato che così però ti  perdi tutta l'essenza del concerto.
È successo la scorsa settimana ai concerti di Ligabue, è successo ieri sera allo show di Gianna Nannini che non cantava così bene da anni. Una performance di altissimo livello. Peccato che la (maggior parte della) gente non sene sia neanche accorta, perché era talmente impegnata a guardare lo schermino, mandare messaggi, postare immagini, da dimenticarsi di sentire il concerto.
Il rock è passione, coinvolgimento, liberazione. Il rock va vissuto con la forza dell'anima e il sudore dell'emozione. Il rock è immediato, non mediato da un cellulare o da un tablet. Il rock è vita vissuta, è sogno da realizzare, è speranza. Ma questo passa in secondo piano, anzi dietro a un minuscolo vetro che vorrebbe - e alla fine ci riesce pure -sostituirsi al tuo occhio.
Il risultato è un pubblico molle e distratto che – eccezion fatta per i fedelissimi sotto al palco –non si fa più toccare dalla musica. Sì, canta pure tutte le canzoni, ma lo fa come lo far la mattina sotto alla doccia, come un riflesso condizionato. Non le ascolta, non le vive, le rimanda solo all'esterno, a chi non è lì, solo per poter dire 'Oh, io c'ero'. E anche chi sta sul palco se ne accorge.
È il segno dei tempi, il riflesso della società in cui viviamo dove non conta uscire con gli amici per ridere e scherzare, parlare e discutere, ma fare la lista di quanti ne hai su facebook; dove non è importante guardare una persona negli occhi per capire se la ami ma elencare le persone con cui hai chattato in rete per poi poterci uscire al massimo tre volte; dove non esiste più il confronto – e il contrasto – con gli altri, ma vale solo il numero di like che riesci a totalizzare quando pubblichi un post, che spesso è una frase del tuo cantante preferito. Quello stesso cantante che magari la sera prima sei andato a vedere ma che non hai “sentito” perché dovevi guardare il tuo cellulare.

Ecco, a me piacerebbe davvero tanto che uno di questi artisti facesse un gesto estremo, rivoluzionario e davvero rock. Quale? Invitare la (maggior parte della) gente a mettere via telefonini e tablet, per godersi finalmente il concerto, la musica, le parole, la compagnia e la gente che hanno intorno, mostrandogli - per una volta - tutta la loro aridità.