01/12/14

LA SINTESI PERFETTA DELLA MUSICA ITALIANA, OVVERO LA CHIUSURA DEL CERCHIO

Avevo 12 anni quando uscì “Alice”, una canzone e un disco che mi fecero innamorare di quel ragazzo alto coi capelli lunghi e rossi, e della musica italiana che non era più solo e necessariamente quella in cui cuore doveva fare rima con amore. Era il 1973. Da quel giorno ho comprato tutti gli album di Francesco De Gregori nel giorno esatto di uscita, conoscevo tutti i cantautori italiani, ascoltavo Radio Blu (un radio “libera” di Roma) dove il sabato pomeriggio c’era un’intera trasmissione dedicata a quel nuovo “fenomeno musicale” (oggi si chiamerebbe così), condotta da un ragazzetto che più tardi avrei conosciuto e che oggi è uno dei nomi più importanti del giornalismo musicale in Italia: Ernesto Assante.
Di Francesco De Gregori amavo soprattutto tre canzoni: “Alice”, appunto, “Bene” e “Atlantide”.
Decisi in quegli anni di musica, di canzoni, di parole messe insieme in maniera assolutamente inconsueta rispetto a quello che si era ascoltato fino a quel momento nel nostro paese a livello pop, che la musica e la scrittura avrebbero fatto parte in qualche modo del mio futuro lavorativo.  Ascoltare una canzone di Francesco De Gregori era come leggere una poesia ermetica o guardare un film surrealista o trovarsi di fronte a un quadro dadaista.
Quando anni dopo divenni giornalista promisi a me stessa che il giorno in cui avessi intervistato Francesco De Gregori, Bruce Springsteen, e fossi diventata direttore di un giornale, avrei smesso di fare questo mestiere e sarei passata ad altro. Direttore lo sono diventata, ma continuo a fare la giornalista, quindi non ho intervistato né Francesco De Gregori, né tantomeno Bruce Springsteen.
De Gregori è sempre stato il mio artista preferito in assoluto della musica italiana, esattamente come Bruce Springsteen lo è della musica internazionale. Su Springsteen ci ho fatto la tesi di laurea, su De Gregori nemmeno un articolo, né un incontro, né tantomeno un’intervista.   E alla fine, sono contenta perché  dai racconti sentiti, da aneddoti raccontati da colleghi e amici, da quella sua infinita cultura che trapela anche solo dal modo in cui si veste, ho sempre pensato “E se poi non è come l’ho sempre immaginato nel corso di tutti questi anni?”, mi crollerebbe un mito – sicuramente -  quindi meglio non incontrarlo. Su Bruce invece nutro ancora,  sempre, la speranza, anche se poi a uno come Springsteen, cosa gli puoi chiedere?
Ma a parte questa breve digressione sul Boss, che quando parli di grande musica c’entra sempre, il mio innamoramento totale e incondizionato per De Gregori si è incrinato solo nel 1990, quando è  comparso sulla scena musicale un altro Artista con la A maiuscola, totalmente diverso da lui: Luciano Ligabue, anzi, all’epoca semplicemente Ligabue. Era uno della mia generazione, cresciuto con la stessa musica, le stesse, parole, le stesse canzoni, gli stessi cantautori con cui ero cresciuta io, solo che anziché ascoltarle in una città grande come Roma, le  aveva vissute nella provincia emiliana. E poi la sua musica, i suoi pezzi  “suonavano” tanto come quelli di Springsteen.  Le storie che raccontava erano quelle lì, solo che invece di essere ambientate nel New Jersey, si svolgevano in piena pianura padana tra Reggio Emilia e Modena.  Anche di lui mi sono innamorata, delle sue “Balliamo sul mondo”, “Angelo della nebbia”, delle sue “Anime in plexiglass”, di “Certe notti” del suo “Urlando contro il cielo” e di tanto altro ancora. Luciano l’ho conosciuto da vicino. Su di lui, e con lui, ho scritto due libri e ho avuto la possibilità di scoprire una persona incredibilmente bella, un uomo di spessore e di grande sensibilità. Una volta parlammo anche di De Gregori e di quanto fossimo cresciuti noi  e quelli della nostra generazione con certe sue canzoni.
Ecco, sentire a distanza di così tanti anni “Alice” cantata in duetto da Francesco De Gregori e Ligabue non solo mi ha fatto venire i brividi, ma mi è sembrata una sorta di sintesi perfetta del mio concetto di musica italiana, una specie di chiusura del cerchio, come se due fasi della mia vita, l’adolescenza con tutti i suoi sogni, gli ideali e le speranze,  si fosse saldata con la gioventù e la maturità, con le disillusioni e i dolori ma anche i  nuovi obiettivi e i nuovi orizzonti.
E quando ieri sera, dopo aver di nuovo ascoltato “Alice” dal vivo cantata in coppia da De Gregori e Ligabue, insieme hanno attaccato “Atlantide” non ho potuto fare a meno di versare qualche lacrima: un cerchio si è chiuso, se n’è aperto un altro e chissà che in futuro questi due non possano fare qualcosa con il più grande di tutti i tempi. Sì, ovviamente Bruce.
Sognare non costa nulla, ma ti apre il cuore e la mente.




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