Avevo
12 anni quando uscì “Alice”, una canzone e un disco che mi fecero innamorare di
quel ragazzo alto coi capelli lunghi e rossi, e della musica italiana che non
era più solo e necessariamente quella in cui cuore doveva fare rima con amore.
Era il 1973. Da quel giorno ho comprato tutti gli album di Francesco De Gregori
nel giorno esatto di uscita, conoscevo tutti i cantautori italiani, ascoltavo
Radio Blu (un radio “libera” di Roma) dove il sabato pomeriggio c’era un’intera
trasmissione dedicata a quel nuovo “fenomeno musicale” (oggi si chiamerebbe
così), condotta da un ragazzetto che più tardi avrei conosciuto e che oggi è
uno dei nomi più importanti del giornalismo musicale in Italia: Ernesto
Assante.
Di
Francesco De Gregori amavo soprattutto tre canzoni: “Alice”, appunto, “Bene” e
“Atlantide”.
Decisi
in quegli anni di musica, di canzoni, di parole messe insieme in maniera
assolutamente inconsueta rispetto a quello che si era ascoltato fino a quel
momento nel nostro paese a livello pop, che la musica e la scrittura avrebbero
fatto parte in qualche modo del mio futuro lavorativo. Ascoltare una canzone di Francesco De Gregori
era come leggere una poesia ermetica o guardare un film surrealista o trovarsi
di fronte a un quadro dadaista.
Quando
anni dopo divenni giornalista promisi a me stessa che il giorno in cui avessi
intervistato Francesco De Gregori,
Bruce Springsteen, e fossi diventata direttore di un giornale, avrei smesso di
fare questo mestiere e sarei passata ad altro. Direttore lo sono diventata, ma
continuo a fare la giornalista, quindi non ho intervistato né Francesco De
Gregori, né tantomeno Bruce Springsteen.
De
Gregori è sempre stato il mio artista preferito in assoluto della musica
italiana, esattamente come Bruce Springsteen lo è della musica internazionale. Su
Springsteen ci ho fatto la tesi di laurea, su De Gregori nemmeno un articolo,
né un incontro, né tantomeno un’intervista.
E alla fine, sono contenta perché
dai racconti sentiti, da aneddoti
raccontati da colleghi e amici, da quella sua infinita cultura che trapela
anche solo dal modo in cui si veste, ho sempre pensato “E se poi non è come
l’ho sempre immaginato nel corso di tutti questi anni?”, mi crollerebbe un mito
– sicuramente - quindi meglio non
incontrarlo. Su Bruce invece nutro ancora, sempre, la speranza, anche se poi a uno come
Springsteen, cosa gli puoi chiedere?
Ma a
parte questa breve digressione sul Boss, che quando parli di grande musica
c’entra sempre, il mio innamoramento totale e incondizionato per De Gregori si
è incrinato solo nel 1990, quando è comparso
sulla scena musicale un altro Artista con la A maiuscola, totalmente diverso da
lui: Luciano Ligabue, anzi, all’epoca semplicemente Ligabue. Era uno della mia
generazione, cresciuto con la stessa musica, le stesse, parole, le stesse
canzoni, gli stessi cantautori con cui ero cresciuta io, solo che anziché
ascoltarle in una città grande come Roma, le
aveva vissute nella provincia emiliana. E poi la sua musica, i suoi
pezzi “suonavano” tanto come quelli di Springsteen. Le storie che raccontava erano quelle lì,
solo che invece di essere ambientate nel New Jersey, si svolgevano in piena
pianura padana tra Reggio Emilia e Modena. Anche di lui mi sono innamorata, delle sue “Balliamo sul mondo”, “Angelo della nebbia”, delle sue “Anime in plexiglass”, di “Certe notti” del suo “Urlando contro il cielo” e di tanto
altro ancora. Luciano l’ho conosciuto da vicino. Su di lui, e con lui, ho
scritto due libri e ho avuto la possibilità di scoprire una persona
incredibilmente bella, un uomo di spessore e di grande sensibilità. Una volta
parlammo anche di De Gregori e di quanto fossimo cresciuti noi e quelli della nostra generazione con certe
sue canzoni.
Ecco,
sentire a distanza di così tanti anni “Alice”
cantata in duetto da Francesco De Gregori e Ligabue non solo mi ha fatto venire
i brividi, ma mi è sembrata una sorta di sintesi perfetta del mio concetto di
musica italiana, una specie di chiusura del cerchio, come se due fasi della mia
vita, l’adolescenza con tutti i suoi sogni, gli ideali e le speranze, si fosse saldata con la gioventù e la
maturità, con le disillusioni e i dolori ma anche i nuovi obiettivi e i nuovi orizzonti.
E
quando ieri sera, dopo aver di nuovo ascoltato “Alice” dal vivo cantata in coppia da De Gregori e Ligabue, insieme
hanno attaccato “Atlantide” non ho
potuto fare a meno di versare qualche lacrima: un cerchio si è chiuso, se n’è
aperto un altro e chissà che in futuro questi due non possano fare qualcosa con
il più grande di tutti i tempi. Sì, ovviamente Bruce.
Sognare
non costa nulla, ma ti apre il cuore e la mente.
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