Ieri
finalmente ho finito di vedere tutta la serie “True detective” che avevo
registrato proprio per godermela tutta di seguito, una sera dopo l’altra, senza
dover aspettare una settimana. E’ una serie bellissima (del resto non si
vincono 5 Premi Emmy per caso) ed estremamente inquietante, ambientata in
quella Louisiana paludosa e misteriosa che ti fa venire i brividi solo a
vederla in tv. Figurati a viverci. Io ci sono passata tanti anni fa, metà Anni
80, in macchina, in vacanza, e la sensazione che fosse una terra strana e
ambigua ce l'ho avuta, eccome! Una terra dove l’anima colorata e gioiosa di New
Orleans è sempre velata da un’ombra cupa che strizza l’occhio ai riti voodoo,
alla magia nera, alla superstizione; dove
Bourbon Street è piena di turisti come via del Corso il 22 dicembre, ma appena
ti allontani un po’ da quel chiasso creato ad arte, ti sembra di entrare in un
vortice nero da cui non c’è ritorno. Sembra che il fiume Mississippi, imperioso
e immenso, ti risucchi e ti divori. Le persone spariscono, ma nessuno se ne
preoccupa. Tutti ti promettono grande fortuna, tutti vogliono leggerti la mano,
tutti vogliono offrirti qualcosa. E siamo a New Orleans. Appena esci da quel
gran carnevale ti ritrovi nelle paludi, ancora più misteriose, che caratterizzano
tutto lo Stato e vedendo quei cimiteri con le tombe che sovrastano la terra, anziché
essere interrate, i brividi sono ancora più gelidi lungo la tua schiena. Nel
frattempo hai incontrato chiesette, tende, garages, capannoni, ognuno con un
cartello che ti dice Jesus loves you, The Lord is the answer, There is only
Jesus, e via così. E tu che vieni dal centro della Cristianità non capisci come
possano esserci tante congregazioni diverse per un unico Dio. Perfino le
stazioni radio e quelle televisive hanno i loro predicatori che predicano tutto
il giorno, gridano che il diavolo è tra di noi, il peccato sempre in agguato e
che l’unica via di salvezza è il pentimento, perché Jesus loves us.. Allora
cominci a capire perché ci sono anche tante sette sataniche, tanti riti voodoo,
tanta cupezza, tanto mistero. Sembra quasi una sfida: l’eterno conflitto, tra
bene e male, Eros e Tanatos, amore e morte che solo in queste paludi si
intersecano e si avviluppano l’una con l’altra. Chi avrà la meglio, il bene o
il male, l’amore o la morte, Dio o Satana? Ecco “True detective” è riuscito a
rendere esattamente tutto questo attraverso una storia fatta di continui cambi
di tempo: presente e passato si alternano continuamente e più la vicenda va
avanti, più diventa inquietante. Più è misteriosa, più – paradossalmente – ti
chiarisce le idee su tante cose e ti fa conoscere meglio quel paese. E più
capisci, più non riesci più a staccare gli occhi dallo schermo e il sedere dal
divano, e vorresti che non finisse più, anche perché Woody Harrelson e Matthew
McConaughey sono straordinari nei loro ruoli.
Il
monologo finale è un capolavoro di
recitazione da parte di McConaughey, che lo eleva ai livelli di Sean Penn (a
mio modestissimo parere il miglior attore in circolazione oggi), un eccellente
esempio di come si scrive una sceneggiatura (opera di Nic Pizzolatto), una
scena struggente che ti fa luccicare gli occhi ma anche capire che ci sarà un
seguito. E’ un pezzo di grandissimo cinema (anche se stiamo parlando di una
serie televisiva) che andrebbe fatto vedere e studiare a tutti quelli che in
Italia vogliono “fare cinema”, a tutti quelli che si riempiono la bocca dicendo
“io lavoro nel cinema”, “io sono un attore”, “io scrivo per il cinema”. Ecco,
cominciate a vedere, rivedere, rivedere, e poi rivedere ancora quest’ultima
scena. Anche solo questa, con Woody Harrelson che ascolta Matthew McConaughey.
Poi guardatevi allo specchio e pensate a che lavoro fate.
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